di Giorgio Gavelli e Gian Paolo Tosoni
L’iniziativa che ha portato alla maxi detrazione del 110%, noto anche come superbonus, è in vigore già da luglio 2020 ma sulle conseguenze fiscali della sua fruizione e del transito tra i vari soggetti c’è ancora buio fitto.
Avvicinandosi il termine per i versamenti d’imposta relativi al 2020, appare quantomai necessario fare un po’ d’ordine, in attesa di conoscere l’opinione dell’agenzia delle Entrate in merito.
Detrazione
Trattiamo in primo luogo il caso in cui il beneficio non circoli ma resti in capo al primo beneficiario. A nostro avviso, il soggetto destinatario di quella che, senza ombra di dubbio, nasce come una detrazione non deve preoccuparsi di possibili effetti fiscali.
Sia il privato che l’impresa (per immobili condominiali), seguendo questa impostazione, possono realizzare i lavori, maturare una detrazione del 110% (ossia superiore alla spesa sostenuta), senza che questa eccedenza possa costituire materia imponibile. Altrimenti la legge istitutiva del superbonus avrebbe paradossalmente stimato il recupero fiscale sul 10% in più riconosciuto ai beneficiari, situazione che non ci risulta.
Per lo stesso motivo, l’impresa che ha maturato la detrazione può dedurre i costi agevolati (anche sotto forma di ammortamento se beni ad utilità pluriennale), senza che su questo incida la detrazione. Diversamente dall’impostazione assunta dall’Oic nel documento in bozza (peraltro in risposta a richieste provenienti dalla stessa agenzia delle Entrate), per chi scrive nei confronti del primo beneficiario il vantaggio fiscale costituisce una detrazione, non un credito d’imposta o un contributo, per cui, anche ove si decidesse di iscriverlo come tale ne conseguirebbe una variazione in diminuzione a livello dichiarativo.
Sconsigliamo la scelta del “metodo diretto” (che elide contemporaneamente il bene e il beneficio) in favore del metodo indiretto, che mantiene il bene (e, quindi, l’ammortamento contabile, a nostro avviso deducibile) e il beneficio (a nostro avviso non tassato trattandosi di detrazione).
Persino le immobilizzazioni acquisite a titolo gratuito si iscrivono e si ammortizzano (Oic 16, par. 48). E, anche nei bilanci ordinari, non si dovrebbe applicare il criterio del costo ammortizzato: in primo luogo perché si tratta di una detrazione, in secondo luogo perché se la detrazione viene “trasformata” in credito è per cederlo e quindi non c’è più nulla da rilevare.
Cessione e sconto
Anche quando l’impresa decide di monetizzare la detrazione, trasformandola in un credito tramite la cessione a terzi o lo sconto in fattura, tuttavia, non ci pare che il beneficiario della detrazione fiscale (ossia di un importo irrilevante fiscalmente se non come possibile riduzione delle imposte nei vari anni previsti) possa ricavare da questa trasformazione un reddito imponibile o un costo deducibile.
Con lo sconto in fattura, il differenziale positivo nasce direttamente in capo al fornitore (non potendo lo sconto superare il corrispettivo), con la cessione si ottengono soldi in cambio di una futura detrazione fiscale, nulla che abbia rilevanza sulla situazione reddituale del primo beneficiario. E che, in ogni caso, originerebbe al limite un costo, poiché si cede un nominale di 110 ad un corrispettivo inferiore.
Fonte: Condominio – Il Sole 24 Ore